E’ l’obiettivo, se non proprio il sogno, di Ian Nairn, chief
executive dei grandi magazzini David Jones: offrire alla propria clientela
tutti i 1600 marchi esposti con caratteristiche di sostenibilità, ecologicità
ed etica. Chi entrerà a far compere sarà circondato da prodotti (dall’abbigliamento,
ai cosmetici, all’elettronica), i cui fornitori dovranno rispettare un codice
di condotta etico e sostenibile.
Nel 2013 i grandi magazzini David Jones erano stati classificati
con la lettera ‘F’ dal Baptist Word Aid Fashion Report, a causa delle deboli o
inesistenti misure per il contrasto alle forme di sfruttamento da parte dei fornitori che fabbricavano i prodotti del
loro marchio, Agenda. Quest’anno invece si sono aggiudicati una ‘C’. E si sono
posti l’obiettivo di raggiungere la valutazione ‘A’ nel medio-breve termine, chiedendo
anche ai produttori dei marchi venduti nei loro punti vendita di aderire al
codice etico. Finora i marchi che lo hanno sottoscritto sono pari al 12%, e
questo senza troppe pressioni da parte di David Jones.
Per quanto riguarda la rescissione dei contratti con fornitori che non si vorranno adeguare al
codice etico, l’azienda sta intraprendendo una strada di revisione dei
contratti e delle norme che li regolamentano, per potersi sganciare più
facilmente dagli obblighi contrattuali con fornitori inottemperanti.
E lo sguardo volge sempre più verso marchi di stilisti
sostenibili emergenti e locali (la moda costituisce il 65% del giro d’affari),
che aspettano solo di essere lanciati sul mercato.
Fonte: The
Sydney Morning Herald

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