mercoledì 17 febbraio 2016

LA MODA CHE SALVA

Pensi che lo shopping non possa migliorare il mondo? Ti sbagli: con un approccio consapevole agli acquisti puoi contribuire a far funzionare programmi che impiegano persone strappate al traffico di vite umane e fortemente svantaggiate.

Alcune brevi informazioni:

-          Al mondo si contano 27 milioni di persone in stato di schiavitù

-          Ogni anno circa 800.000 persone sono vittime del traffico internazionale

-          L’80% delle vittime di traffico internazionale è composto da donne e ragazze

-          Il 70% delle vittime femminili è destinato allo sfruttamento per fini sessuali

Ma se il traffico di vite umane è a tutti gli effetti un problema di proporzioni enormi, ciò non lo rende necessariamente imbattibile. Ci sono programmi che forniscono alle vittime strappate alla tratta strumenti e opportunità di impiego. Eccone alcuni:

-          SARI BARI: un nome grazioso e facile da ricordare. Il Sari è un capo della tradizione indiana che simbolicamente rappresenta la donna e ‘bari’ significa casa. Questa organizzazione ha iniziato a operare nel quartiere a luci rosse di Calcutta in India e oggi impiega oltre 80 vittime della tratta a sfondo sessuale. Le donne lavorano nella produzione di coperte, tovaglie, sciarpe e accessori e vengono retribuite con salari equi che comprendono assistenza sanitaria,  assistenza scolastica per i figli, ferie retribuite e copertura previdenziale. Dopo un periodo di formazione equamente retribuito, le dipendenti vengono regolarmente assunte dalla società, con prospettive di carriera. www.saribari.com
 

          THE INTERNATIONAL PRINCESS PROJECT: iniziato come un piccolo laboratorio sartoriale di 6 donne, è ora diventato in un’azienda con 150 dipendenti che offre opportunità lavorativa a donne a rischio di tratta a sfondo sessuale. Il 100% dei guadagni è reinvestito per aumentare l’offerta di impiego a donne e ragazze a rischio. La piattaforma online di vendita è Punjammies .
 

-          PURPOSE JEWLERY: questi gioielli vengono fatti a mano da donne ex vittime della tratta. Il 100% dei proventi va a International Sanctuary, un’organizzazione che impiega le donne sopravvissute alla tratta a sfondo sessuale e fornisce assistenza medica e odontoiatrica,  istruzione, borse di studio, microprestiti e opportunità di impiego. L’organizzazione opera sia in India che nella contea di Orange, in California; questo ci fa capire che il traffico  internazionale di vite umane non è solo un problema dei paesi in via di sviluppo, ma riguarda anche le nazioni più sviluppate. Acquistando su Purpose Jewelry contribuirai a fornire l’impiego a una donna indiana che realizza questi manufatti e a un’ex vittima della tratta nella contea di Orange.

 

-        PROGETTO QUID: “Progetto QUID è un nuovo marchio di moda che nasce da tessuti di qualità del miglior Made in Italy recuperati localmente per mano di donne con un passato di fragilità. Progetto QUID nasce dalla volontà di sperimentare il reinserimento lavorativo di donne in difficoltà attraverso il loro impiego in attività produttive che rispondono alle logiche del mercato e che allo stesso tempo stimolano una partecipazione attiva alla bellezza e alla creatività. Creatività e bellezza si fondono con l’ampio respiro della sostenibilità ambientale e del recupero di tessuti di qualità altrimenti inutilizzati grazie a una rete di brand partner rigorosamente selezionati e locali.” www.progettoquid.it

Queste solo alcune delle realtà in campo tessile che contribuiscono al riscatto  delle donne vittime di situazioni di sfruttamento e svantaggio. Il nostro impegno è quello di segnalare questo tipo di programmi e di promuoverne lo sviluppo e la diffusione.

Ne esistono molti. Purtroppo, per fortuna.

martedì 9 febbraio 2016

reWrap


reWrap, marchio olandese che si definisce ‘impegnato nel design consapevole’, crea prodotti belli e di design dall’impatto positivo, realizzati con materiali naturali e completamente biodegradabili.

Tra questi la ReWrap tree bag, realizzata interamente in fibre naturali e completamente biodegradabile, è anche impermeabile. Oltre al carattere sostenibile, questa borsa è realizzata eticamente in un piccolo laboratorio che impiega lavoratori svantaggiati retribuiti con salari equi.

La parte esterna è realizzata con gusci di noci di cocco pressati, un materiale naturalmente idrorepellente. Il materiale viene lasciato nel suo colore naturale che si intona con il manico in legno di noce e le cuciture in filo naturale di pasta di legno. All’interno la borsa rimane impermeabile grazie e una fodera in gomma naturale essicata al sole. Quando la borsa finisce il suo ciclo di vita e utilizzo può essere riutilizzata come fertilizzante, per contribuire alla crescita di nuove piante.

Per maggiori info: www.rewrap.eu

VISION 2020

Eileen Fisher, stilista americana da anni orientata verso la sostenibilità dei suoi prodotti, si è resa conto che il suo cammino verso la sostenibilità totale dei suoi prodotti non è abbastanza veloce e si è data quindi un obiettivo: VISION 2020, in base al quale si impegna a realizzare entro tale anno tutte le sue collezioni in base ai principi della sostenibilità, al 100%.

I filati utilizzati nella realizzazione dei capi di abbigliamento saranno completamente sostenibili (ora lo sono solo in parte): lino e cotone 100% biologici, lana merino proveniente da allevamenti etici (in cui le pecore vengono allevate umanamente, su terreni gestiti in modo sostenibile), poliestere solo se riciclato e maggior uso di Tencel®. Anche i coloranti e le tinture inquinanti e tossici e che richiedono un elevato dispendio di acqua subiranno un notevole ridimensionamento. Già dal 2009 i capi di Eileen Fisher vengono trattati con tecnologie Bluesign®, che limitano l’utilizzo di acqua e prodotti chimici dannosi.
La graduale conversione delle risorse già in atto seguirà un ritmo più accelerato: sempre minore utilizzo di acqua e di emissioni di carbonio. Eileen Fisher conta di investire in energie alternative e diminuire drasticamente i trasporti via aerea.

Già da diversi anni questo marchio sceglie i suoi fornitori in base a principi etici, e dal 2005 ha investito in una filiera produttiva in Perù che persegue i principi etici e prevede il pagamento di salari equi ai lavoratori. In India ha lanciato un programma di investimento di sei anni, The Handloom Project, che prevede l’impiego di lavoratori delle comunità rurali.
Anche sul fronte dell’impatto ambientale dei capi di abbigliamento questo marchio si sta già muovendo da anni, prevedendo il ritiro dei capi venduti una volta dismessi dalla clientela, che in parte vengono rivenduti e in parte riutilizzati come materia prima o trasformati in nuovi modelli.

La società Eileen Fischer è stata recentemente certificata come B Corp, in quanto riconosciuta come società  ‘socialmente responsabile’ per aver raggiunto gli standard di impegno sociale e ambientale previsti da B Lab. La certificazione B Corp per le aziende viene rilasciata alle società for profit che si prefiggono volontariamente scopi di carattere sociale, sostenibilità e trasparenza e puntano a produrre un impatto positivo sulle persone e sull’ambiente.  A oggi le B Corp certificate dall’ente non profit americano B Lab sono 1.498 e sono presenti in 42 Paesi del mondo (l’Italia ne ha già nove).

mercoledì 3 febbraio 2016

LA TENDA INDOSSABILE PER I RIFUGIATI



A seguito della crisi dei rifugiati siriani, un gruppo di studenti del Royal College of Art di Londra ha creato una giacca con cappuccio che si trasforma in sacco a pelo o tenda adatta ad ospitare un adulto e un bambino. IL progetto ora è alla ricerca di fondi affinché questo prototipo possa essere industrializzato. “Lo scopo è quello di lavorare per l’Agenzia per i rifugiati del Regno Unito e relalizzare il modello in tempo per l’estate”, scrivono gli studenti nella loro pagina Kickstarter Campaign.

Il prototipo è stato realizzato in Tyvek, una membrana a lunga durata e leggera permeabile all’aria e al vapore ma resistente alla pioggia. Per l’isolamento gli studenti hanno utilizzato il Mylar, una pellicola di poliestere che impedisce la perdita di calore dal corpo. Ci sono anche tasche capienti per gli effetti personali.

Ovviamente  questo progetto non viene proposto come soluzione a lungo termine, ma come aiuto temporaneo nelle situazioni di emergenza.
 

FONTE: ECOUTERRE

 


giovedì 12 novembre 2015

SALVIAMO L’ANATRA!

Autunno inoltrato e già sentiamo il bisogno di ripararci da freddo e umidità. C’è l’imbarazzo della scelta: siamo bombardati da vetrine urlanti di piumini e giubbotti imbottiti. Peccato che per la maggior parte queste imbottiture siano state strappate alle legittime proprietarie, innocenti volatili che forniscono, loro malgrado, la materia prima utilizzata per imbottire i giubbotti che spopolano inesorabilmente nelle nostre città.

A ricordarci la provenienza e le modalità con le quali si ottiene la piuma d’oca e d’anatra ci ha pensato mesi fa Report, trasmissione grazie alla quale per qualche settimana abbiamo aperto gli occhi, per poi pigramente richiuderli con l’arrivo della primavera.
Eppure basta leggere attentamente le etichette dei capi che acquistiamo – cosa che consigliamo comunque prima di tutti i nostri acquisti – per operare una vera e propria scelta etica: voglio riscaldarmi a discapito di animali innocenti o voglio cercare un’alternativa?

L’alternativa c’è, eccome; anzi ce ne sono svariate. Tra l’altro, prima dell’invasione della piuma d’oca già esistevano le imbottiture sintetiche, che ci hanno protetti e riscaldati per tanti inverni.
In questa direzione, tra gli altri, si muove un marchio che ha fatto del proprio nome e logo il simbolo di questa scelta alternativa: Save the Duck®, infatti, produce da qualche stagione piumini imbottiti con PLUMTECH®,  un materiale sintetico che unisce le caratteristiche di sofficità, leggerezza e termicità tipiche della piuma.

Per queste sue caratteristiche, nel 2015 il marchio ha ottenuto la certificazione “Animal Free Fashion” della LAV e nel 2014 ha ricevuto il VEGAN FASHION AWARD di PETA Deutschland.

 
Per maggiori info: www.savetheduck.it

 

 

mercoledì 11 novembre 2015

IL PARKA TESSUTO DAL RAGNO


The NORTH FACE sta lanciando ‘The Moon Parka’, un capo realizzato in Qmonos, ‘ragnatela’ in giapponese, il biomateriale dalle stesse caratteristiche della seta di ragno, una proteina cinque volte più forte dell’acciaio, tre volte più resistente del nylon o del Kevlar, ma infinitamente più sottile del capello umano.
Grazie alla sua peculiare struttura, la seta di ragno annovera tra le possibili applicazioni commerciali cavi e giubbotti antiproiettile. In campo medico, grazie alle proprietà antimicrobiche può essere adatta per le suture delle ferite e, poiché non viene rigettata dal corpo umano, potrebbe essere impiegata per produrre tendini artificiali o per ricoprire impianti. Inoltre, la sua conducibilità termica è pari a quella del rame e la densità di massa è pari a un settimo del metallo, il che la rende particolarmente adatta ad impieghi che comportano la gestione delle temperature. Ma la raccolta e la lavorazione della seta naturale è praticamente impossibile e l’unica strada aperta è rimasta quindi quella della riproduzione in laboratorio.

Il tentativo di riprodurre sinteticamente la seta di ragno è infatti una sfida che risale indietro nel tempo e colossi come DuPont e Basf avevano già abbandonato le loro ricerche in questo campo nel 2013.
A quanto pare l’impresa è riuscita a Spiber, azienda giapponese che è riuscita a identificare il codice genetico della seta di ragno e a trovare il modo per riprogrammare i batteri e riprodurre così la fibroina, la proteina strutturale della seta di ragno.

Da qui la partnership con North Face, che ha realizzato il Moon Parka, un capo speciale progettato per proteggere chi lo indossa dai rigidi climi antartici.

(Fonti: Ecouterre.com e Greenreport.it)

ALPACA O CASHMERE?

La produzione del filato di alpaca è in notevole crescita e questo autunno l’abbiamo visto sulle passerelle di Parigi e Milano nei capi, tra gli altri, di top brand come Luis Vuitton e Versace.

Come il cashmere, l’alpaca è una fibra naturale dall’aspetto nobile. E, nonostante sia meno costosa del cashmere, secondo gli Inca valeva di più dell’argento o dell’oro.
I colori degli alpaca, i simpatici camelidi che vivono in Peru, in natura sono oltre venti e vanno dal nero inchiostro, al nocciola, al bianco niveo, e la loro lana è morbida e calda.

Secondo Quartz, il boom dell’alpaca è positivo non solo per il Peru, che esporta circa 175 milioni di dollari l’anno di lana d’alpaca, ma anche per il pianeta; ed elenca una serie di motivi per cui è consigliabile preferire l’alpaca al cashmere.
Sostenibilità: a causa dell’incremento esponenziale della richiesta di cashmere a partire dagli anni ’90, i pascoli cinesi sono stati sfruttati a tal punto da diventare deserti  ghiacciati. Prima di quell’epoca, il cashmere era un lusso per pochi, ma negli ultimi due decenni la domanda è salita vertiginosamente e ha fatto da un lato diminuire la qualità, dall’altro il prezzo dei capi in cashmere. Tra il 1990 e il 2009, in Mongolia (dopo la Cina il secondo fornitore mondiale di cashmere) gli allevamenti di capre, la maggior parte delle quali vive nelle steppe,  sono quadruplicati. Nonostante queste capre siano abituate a sopportare le basse temperature di quegli ambienti, negli ultimi anni una serie di inverni particolarmente rigidi ha decimato gli allevamenti. Nell’inverno 2009-2010, è stato colpito circa un quinto del bestiame della Mongolia.

Inoltre, le capre mentre brucano distruggono il suolo e l’erba. E in questi pascoli a rischio vivono altri animali, come leopardi delle nevi, cavalli selvatici e l’antilope tibetana, la cui sopravvivenza viene minacciata dall’industria del cashmere.
L’impatto ambientale dell’alpaca sembra essere invece meno pesante, in quanto questi animali vivono sugli altipiani delle Ande peruviane, al momento un ecosistema meno fragile, e brucano senza distruggere l’erba e il suolo. L’alpaca è anche più efficiente della capra, in quanto beve molto meno e produce lana sufficiente per quattro o cinque maglioni l’anno quando invece per produrre  nello stesso tempo un maglione di cashmere  sono necessarie quattro capre, secondo il Natural Resouces Defence Council.

Ci sono quindi validi motivi per preferire un maglione di alpaca a uno in cashmere. L’alternativa più sostenibile rimane comunque il comodo vecchio maglione che ci accompagna e ci scalda ogni inverno…


 (Fonte: Quartz )